La cosmologia è quella branca dell’astronomia
che studia l’intero Universo. Attualmente, il modello cosmologico standard
rappresenta il quadro migliore per descrivere l’evoluzione dell’Universo, ma
non la sua origine, ed esistono alcuni scenari che ci forniscono delle
indicazioni su quale sarà il suo destino. Nonostante ciò, ricostruire la storia
cosmica non è così facile. Infatti, i cosmologi possono essere paragonati agli
archeologi che andando ad analizzare i resti fossili tentano di ricostruire,
seppure parzialmente, il passato della Terra spingendosi fino ad epoche dell’ordine
di migliaia o milioni di anni fa.
E’ sorprendente il fatto che negli ultimi
cinquant’anni, i cosmologi siano stati in grado di ricostruire la storia dell’Universo,
dai primi secondi subito dopo il Big Bang avvenuto circa 13,7 miliardi di anni
fa. Ma non si tratta di una ricostruzione grossolana perché di fatto sappiamo
di che cosa è stato fatto l’Universo delle origini e come appariva durante
quelle fasi evolutive. Nel numero di Ottobre Discover Magazine, Sean Carroll ci
spiega come questo lavoro d’indagine, un pò da investigatori, sia alquanto
affascinante e quante cose ci sono ancora da scoprire. Un passo fondamentale della
ricerca di frontiera sarà quello di andare sempre più indietro nel tempo, fino
ad una frazione piccolissima di secondo immediatamente dopo il Big Bang perché vogliamo
capire come tutto è cominciato. Rimangono ancora delle domande aperte: il
nostro Universo è soltanto l’unico che esiste? E se non è così, perché si è
originato questo tipo di Universo e non un altro?
Studiare la storia passata dell’Universo
rappresenta una sfida enorme perché, come nel caso dei geologi o degli
archeologi che studiano la Terra, le cose cambiano. Ora, mentre per lo studio
della Terra l’informazione ci viene data dai fossili, nel caso dell’Universo l’informazione
è legata alle particelle che si sono originate dal Big Bang, come gli elettroni
o i protoni, e che poi sono state processate nuovamente nei nuclei delle
stelle. Dunque, per studiare il passato cosmico, il ‘trucco’ sta nel trovare
degli artefatti che sono rimasti in gran parte invariati nel corso di un tempo
molto lungo. In ciò, i cosmologi sono un pò più fortunati dei paleontologi perché
l’Universo esistono particelle la cui identità è rimasta immutata nel corso di
miliardi di anni. Tra queste particelle, le più comuni sono i fotoni. Quando
osserviamo l’immagine di una galassia, stiamo effettivamente osservando il
passato: ad esempio, se una galassia si trova a due milioni di anni-luce, come nel
caso di Andromeda, ciò vuol dire che la stiamo osservando come era due milioni
di anni fa dato che la luce, viaggiando nello spazio con una velocità finita,
impiegherà un tempo finito per propagarsi e raggiungere i nostri telescopi. Il
telescopio spaziale Hubble, ha catturato la luce di galassie molto antiche,
formatesi circa 500 milioni di anni dopo il Big Bang, e ciò ha permesso di
capire con quanta rapidità si sono formate le strutture cosmiche prima di formare
le prime stelle e galassie. I fotoni sono ancora più vecchi: infatti, grazie
alla missione del satellite WMAP gli astronomi hanno ottenuto l’immagine più
antica dell’Universo che risale ad appena 380 mila anni dopo il Big Bang. Prima
di quel periodo, l’Universo appare così opaco, caldo e denso che i fotoni non
riescono a viaggiare per lunghe distanze senza interagire con altre particelle
e cambiare direzione tante volte. Man mano che lo spazio si espande e si è
sufficientemente raffreddato, gli elettroni si aggregano ai nuclei atomici per
formare atomi più stabili, principalmente idrogeno ed elio. Questo gas composto
dai due elementi più abbondati è trasparente e fa sì che i fotoni si muovano
liberamente nello spazio. Da allora, la maggior parte di essi hanno viaggiato
senza essere disturbati finchè nel 1964 una manciata di fotoni è arrivata sull’antenna
di Arno Penzias e Robert Wilson scoprendo, inavvertitamente, la radiazione
cosmica di fondo. Negli anni successivi, il satellite WMAP ha mappato questi
fotoni realizzando una mappa del cielo del ‘baby’ Universo. Dallo studio delle
fluttuazioni di temperatura, i cosmologi hanno determinato la quantità totale
di energia presente nell’Universo e come essa è mutata nel corso del tempo
cosmico. La materia ordinaria e quella scura una volta dominavano lo spazio ma
oggi esse costituiscono il 23% del contenuto materia-energia dell’Universo. Il
resto è qualcosa di misterioso, una forma di energia antigravitazionale a cui è
stato attribuito il termine energia scura.
La radiazione cosmica di fondo
costituisce uno strumento d’indagine molto potente. Tuttavia, i cosmologi
possono utilizzare forme di radiazione fossile ancora più antiche, quelle cioè
che sono in grado di penetrare quella ‘nebbia cosmica’ talmente opaca e
guidarci fino ai primissimi istanti della storia dell’Universo. Queste forme
antiche di radiazione sono costituite dai nuclei atomici che si sono formati in
condizioni di alta temperatura subito dopo il Big Bang. Nel 1948, Ralph Alpher,
uno studente all’epoca di George Gamow, ipotizzò che nel corso dei primi minuti
l’Universo fu così caldo e denso da comportarsi come un reattore di fusione
nucleare, producendo dalla ‘zuppa primordiale’ di protoni e neutroni elementi
più pesanti: ad esempio, il deuterio detto anche idrogeno pesante (un protone +
un neutrone), elio (due protoni + due neutroni) e litio (tre protoni + quattro
neutroni). La loro teoria, nota come nucleosintesi, riassumeva tutta una serie
di dettagli su come ogni elemento sarebbe stato prodotto nei primi tre minuti.
In maniera quasi sorprendente, oggi possiamo verificare questo modello
analizzando ciò che di questi elementi sopra citati rimane oggi. Dunque, sono
proprio questi elementi che bisogna studiare essendo rimasti per molto tempo
indisturbati nel corso della storia cosmica. Ma dove li troviamo? Un posto dove
cercare è, ad esempio, la galassia I Zwicky 18 in cui le stelle sono rimaste
inattive fino a poco tempo fa e perciò hanno lasciato ‘intatto’, per così dire,
il materiale presente nella galassia. I nuclei di deuterio, di elio e litio
assorbono ed emettono luce in un modo molto particolare che permette agli
scienziati di determinare con grande accuratezza le abbondanze relative. Ciò
che è stato trovato è che le quantità misurate sono proprio quelle previste dalla
teoria di Gamow e Alpher: in altre parole, stiamo analizzando ciò che è
accaduto all’Universo 13,7 miliardi di anni fa e lo stiamo facendo proprio qui
seduti sulla Terra. Insomma, abbiamo usato quella teoria per fare previsioni e
abbiamo avuto ragione. Possiamo anche non sapere che tempo farà domani, ma la cosa
certa è che comprendiamo esattamente come si sono comportati protoni e neutroni
nei primissimi secondi di tempo della storia cosmica, un risultato
impressionante che rende onore all’intelletto umano. Ma non ci basta perché i
cosmologi vogliono spingersi oltre e capire se c’è stata un’altra forma di
radiazione fossile prima della nucleosintesi. Al momento, ciò non è possibile
ma c’è un buon candidato: la materia scura, quell’altra componente enigmatica
che fa da scheletro alle galassie e agli ammassi di galassie.
Prima di tutto, la materia scura
potrebbe essere una scelta molto strana. Di fatto, non l’abbiamo mai rivelata, né
sappiamo di cosa è fatta, però sappiamo che essa non interagisce con nient’altro
e questo rappresenta per i cosmologi un buon punto di partenza. Secondo gli
attuali scenari cosmologici, la materia scura ha smesso di interagire con il
resto delle particelle primordiali molto preso, circa un decimillesimo di
secondo dopo il Big Bang, quando la temperatura dell’Universo era dell’ordine
di 100 trilioni di gradi Fahrenheit, mentre oggi è mediamente di -455°F. La
particella miglior candidata per costituire la materia scura è denominata WIMP (WeaklyInteracting Massive Particle) a cui si dà la caccia in vari laboratori del
mondo. Allo stesso tempo, i fisici stanno tentando di crearla direttamente
negli acceleratori di particelle come il Large Hadron Collider (LHC). Se tali
sforzi avranno successo, saremo in grado di misurare le proprietà di questa
ipotetica particella e quindi applicare nuovamente il modello della nucleosintesi
dove questa volta considereremo la materia scura. Così facendo, potremo
prevedere esattamente quanta materia scura è stata prodotta nell’Universo
primordiale e confrontarla con quella presente oggi. Abbiamo, però, due possibilità:
entrambe le previsioni sono in accordo con la realtà, perciò possiamo capire
cosa stava facendo l’Universo una piccolissima frazione di secondo dopo la sua
origine; oppure le previsioni non sono in accordo, allora in questo caso avremo
bisogno di nuove teorie e capire dove è l’errore. Anche se la materia scura
soddisferà il sogno dei cosmologi, saremo ancora lontani dall’aver risolto il
problema. Potrebbe sembrare abbastanza il fatto di arrivare a 1/10.000 di
secondo dopo il Big Bang ma i teorici ritengono che sono accadute tante altre
cose interessanti prima di questo istante, come ad esempio la rapida espansione
esponenziale dovuta all’inflazione cosmica, e naturalmente lo stesso Big Bang.
Più ci avvicineremo al quel punto singolare, meglio capiremo come si è
originato l’Universo e se magari altri universi si sono formati nello stesso
modo. Una cosa è certa, in un modo o nell’altro ci stiamo muovendo sempre più
verso la comprensione dei primissimi istanti di vita dell’Universo.
Per un maggiore approfondimento di questo e altri argomenti: Idee sull'Universo
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