domenica 8 giugno 2014

La complessità dei buchi neri

Nel corso di questi anni, la ricerca di una teoria unificata ha portato diversi fisici teorici ad introdurre una serie di argomentazioni nel tentativo di conciliare le due migliori descrizioni del mondo macroscopico (relatività generale) e di quello microscopico (meccanica quantistica). In particolare, un fisico teorico di nome Leonard Susskind ha presentato diverse idee spesso non facilmente intuitive, come ad esempio la teoria delle superstringhe o il concetto in base al quale il nostro Universo tridimensionale potrebbe essere in realtà un ologramma bidimensionale. Oggi egli è parte di un piccolo gruppo di scienziati che stanno ragionando su un nuovo concetto altrettanto bizzarro: in altre parole, la chiave verso quella che viene definita “la teoria del tutto” dovrà essere trovata nell’ambito della scienza dei computer, nota anche come complessità computazionale. Certamente, non si tratta di una disciplina della fisica dove esplorare i processi più fondamentali ma essa è legata a qualcosa di più pratico e riguarda il numero di operazioni logiche che sono necessarie per eseguire un algoritmo. Se questo approccio funzionerà, allora secondo Susskind esso potrebbe risolvere uno dei problemi teorici più impegnativi di questi anni, cioè il paradosso dell’informazione dei buchi neri, il che implicherebbe la non validità della meccanica quantistica e della relatività generale. In più, il metodo della complessità computazionale potrebbe fornire ai teorici un nuovo modo di comprendere i concetti di spazio e tempo utilizzando semplicemente delle idee basate sostanzialmente sulla informazione.


Al di là dell'orizzonte degli eventi

Tutto inizia circa 40 anni fa quando Stephen Hawking si rese conto che gli effetti quantistici determinavano una specifica emissione di radiazione proveniente da un buco nero sottoforma di fotoni e di altre particelle, nota come radiazione Hawking, fino a causare la sua completa evaporazione. Una volta che gli altri ricercatori vennero a conoscenza di questa scoperta, emerse una contraddizione alquanto preoccupante. Infatti, secondo le regole della meccanica quantistica, il flusso di particelle che costituiscono la radiazione uscente deve conservare l’informazione di tutto quello che cade verso il buco nero, così come la materia che sta precipitando trasporta esattamente la stessa informazione man mano che attraversa l’orizzonte degli eventi, cioè quella superficie ideale al di là della quale niente, nemmeno la luce, può tornare indietro. Ma questo flusso a due direzioni potrebbe violare una legge chiave della meccanica quantistica, nota come teorema di no-cloning quantistico, in base alla quale non è possibile riprodurre una copia perfetta dell’informazione quantistica sconosciuta a priori. Nel 1995, come fecero poi felicemente notare Susskind e colleghi, la natura sembrava effettivamente eludere qualsiasi violazione a tale regola rendendo così impossibile vedere entrambe le copie allo stesso tempo: un osservatore che rimane al di fuori dell’orizzonte degli eventi non potrà mai comunicare con un altro osservatore che lo ha già attraversato. Ma nel 2012, quattro fisici della Università della California a Santa Barbara, Ahmed Almheiri, Donald Marolf, Joseph Polchinski e James Sully, noti come gruppo AMPS, introdussero una eccezione pericolosa a questa regola. Essi trovarono uno scenario in cui un osservatore potrebbe decodificare l’informazione contenuta nella radiazione, “saltando” per così dire nel buco nero e quindi confrontando quella informazione con la sua copia mentre sta oltrepassando l’orizzonte degli eventi. Tuttavia, il gruppo AMPS concluse che la natura previene questa sorta di abominio attraverso la creazione di una sorta di “barriera di fuoco” che si trova appena superato l’orizzonte degli eventi e che incenerisce qualsiasi osservatore, o meglio qualsiasi particella, che tenta di attraversarlo. In effetti, lo spazio dovrebbe terminare improvvisamente proprio nell’orizzonte degli eventi, anche se la relatività generale afferma che in questa regione lo spazio deve essere continuo e regolare. Dunque, se la teoria del gruppo AMPS è vera, allora “ciò potrebbe essere un duro colpo per la relatività generale”, così come ha affermato il fisico teorico Raphael Bousso.

L’informazione non può essere codificata

Da quando sono emerse queste argomentazioni, la fisica fondamentale si è trovata in un vero e proprio tumulto scientifico dato che gli scienziati hanno sempre tentato di trovare una soluzione a questo paradosso. I primi ad introdurre il concetto della complessità computazionale in questo campo dell’astrofisica furono i fisici Patrick Hayden, che si occupa anche di scienza dei computer, e Daniel Harlow. Se davvero la “barriera di fuoco” dipende dall’abilità di un osservatore a codificare l'informazione contenuta nella radiazione uscente, la domanda è: quanto è possibile che ciò avvenga? La risposta è: estremamente difficile, se non impossibile. Una analisi basata sulla complessità computazionale ha mostrato che il numero di operazioni logiche richieste per codificare l’informazione uscente dal buco nero potrebbe aumentare esponenzialmente con il numero di particelle che costituiscono la radiazione. Ora, nessun computer sarebbe in grado di portare a termine questi enormi e complessi calcoli fino a che il buco nero non abbia irradiato tutta la sua energia e sia evaporato assieme alle copie dell’informazione stessa. Ciò implica che la “barriera di fuoco” non ha ragione di esistere: questo scenario in cui l’informazione può essere codificata non ha quindi senso e perciò il paradosso scompare. Inizialmente, Hayden fu alquanto scettico del risultato. Ma poi assieme ad Harlow trovò la stessa risposta nel caso di vari tipi di buchi neri. “Sembra che sia un principio molto forte, una specie di cospirazione della natura che non permette di realizzare questa codifica dell’informazione prima che il buco nero non sia evaporato”, ha affermato Hayden. L’ipotesi di Harlow-Hayden fece una grande impressione su Scott Aaronson, che si occupa di calcoli quantistici complessi al MIT. “Ho rispetto per il lavoro fatto dai colleghi che rappresenta una delle più importanti sintesi della fisica e della scienza dei computer”, ha dichiarato. La eco di queste conclusioni giunse tra i fisici teorici anche se nessuno rimase convinto. “Anche se i calcoli sono corretti”, dice Polchinski, “è difficile vedere come uno dovrebbe formulare una teoria fondamentale su questi concetti”. Nonostante ciò, alcuni fisici ci stanno provando. C’è una moderata convinzione tra gli scienziati sul fatto che le leggi della natura debbano essere basate in qualche modo sull’informazione. E l’idea che le leggi della natura possano essere descritte da metodi complessi di calcolo, che è definito sostanzialmente in termini del concetto di informazione, offre una prospettiva promettente. Tutto questo ha ispirato Susskind ad approfondire quale sia allora il ruolo che può avere in tal senso la complessità computazionale e per far questo, egli ha scelto un sistema di riferimento teorico noto come spazio anti-deSitter (AdS) che descrive qualsiasi cosa contenuta nel cosmo, inclusi i buchi neri, governata dalla gravità. A differenza, però, del nostro Universo, lo spazio AdS ha un confine, cioè una regione dove la gravità è assente e le particelle elementari e i campi di forze sono governati dalle regole della meccanica quantistica. A parte questa differenza, studiare la fisica nel sistema AdS ha fornito molti indizi poiché qualsiasi oggetto e processo fisico che si trovano all’interno di questo spazio possono essere matematicamente descritti con un oggetto o con un processo fisico equivalenti che si trovano, invece, nel suo confine. Ad esempio, un buco nero nel sistema AdS è equivalente ad un gas caldo di particelle quantistiche che sono distribuite sul suo bordo. Ancora meglio, anche i calcoli che sono spesso complicati in un dominio diventano invece più semplici se utilizziamo l’altro. E una volta che i calcoli sono stati completati, questi risultati che sono stati ottenuti nel sistema AdS possono essere per così dire “trasferiti” o “tradotti” nel nostro Universo. 

La complessità aumenta

Susskind decise allora di guardare un buco nero da un'altra prospettiva, cioè dal punto centrale dello spazio AdS, e di utilizzare la descrizione ottenuta sul confine dello spazio per esplorare ciò che succede all’interno dell’orizzonte degli eventi. Altri colleghi hanno fallito in questo tentativo mentre Susskind ha analizzato il problema attraverso le lenti del calcolo numerico complesso. Passare dal confine dello spazio AdS alle regioni più interne dell’orizzonte degli eventi richiede un enorme numero di operazioni logiche che aumenta esponenzialmente man mano che ci si avvicina verso il buco nero. Così come ha sottolineato Aaronson, “la regione più interna del buco nero è come se fosse protetta da una specie di armatura di complessità numerica”. In più, Susskind notò che questa complessità computazionale tende a crescere nel tempo il che non implica un aumento del disordine o dell’entropia. In realtà, si tratta di un puro effetto quantistico dovuto al modo con cui interagiscono le particelle, che si trovano sul confine dello spazio, che causa un rapido incremento della complessità relativa al loro stato quantistico. Secondo Susskind, questo aumento di complessità suggerisce delle somiglianze con il campo gravitazionale. Immaginiamo, ad esempio, un oggetto che fluttua nello spazio attorno a un buco nero. Dato che siamo nel sistema AdS, l’oggetto può essere descritto da una qualsiasi configurazione di particelle e campi sul bordo dello spazio. E poiché la complessità di quel confine dello spazio tende ad aumentare nel tempo, l’effetto è quello di far muovere l’oggetto verso le regioni più interne dove la complessità è maggiore. Ma questo è un altro modo di dire che l’oggetto sarà attratto verso il buco nero. In altre parole, Susskind afferma che “le cose cadono perché esiste una tendenza verso la complessità”. Un’altra conseguenza di questo aumento di complessità è strettamente legato ad un altro concetto che Susskind introdusse assieme a Juan Maldacena, l’unico fisico a riconoscere le caratteristiche uniche del sistema AdS. Secondo la relatività generale, due buchi neri possono essere separati da decine o centinaia di anni-luce ma possono ancora essere connessi da una sorta di tunnel spazio-temporale, noto come wormhole o ponte di Einstein-Rosen. Ora, in base alle regole della meccanica quantistica, i due buchi neri possono essere ulteriormente connessi attraverso un effetto di entanglement quantistico, cioè l’informazione dei loro stati quantici è condivisa tra loro in un modo che non dipende dalla distanza. Dopo aver esplorato le varie similitudini tra queste connessioni, Susskind e Maldacena conclusero che esse erano due aspetti di una unica cosa, cioè che il grado di accoppiamento di un buco nero, un fenomeno puramente quantistico, determina la larghezza del wormhole, una proprietà puramente geometrica. Con il suo ultimo lavoro, Susskind dice che l’incremento della complessità che avviene sul confine dello spazio AdS si manifesta come un aumento della lunghezza del wormhole. Dunque, se mettiamo tutto insieme, pare che l’entanglement sia un fenomeno legato in qualche modo allo spazio mentre invece la complessità sia legata al tempo. Naturalmente, lo stesso Susskind afferma che se da un lato tali idee sono delle speculazioni e non costituiscono una vera e propria teoria scientifica dall’altro egli ed altri colleghi sono convinti che esse permettono di superare il paradosso dell’informazione. “Non so dove tutto questo porterà”, dice Susskind, “ma credo che queste relazioni tra complessità e geometria siano solamente la punta dell’iceberg”.


Nessun commento:

Posta un commento