Nel corso di questi anni, la
ricerca di una teoria unificata ha portato diversi fisici teorici ad introdurre
una serie di argomentazioni nel tentativo di conciliare le due migliori descrizioni del mondo macroscopico (relatività generale) e di quello
microscopico (meccanica quantistica). In particolare, un fisico teorico di nome
Leonard Susskind ha presentato diverse idee spesso non facilmente intuitive,
come ad esempio la teoria delle superstringhe o il concetto in base al quale il
nostro Universo tridimensionale potrebbe essere in realtà un ologramma bidimensionale. Oggi egli è parte di un piccolo gruppo di scienziati che stanno
ragionando su un nuovo concetto altrettanto bizzarro: in altre parole, la
chiave verso quella che viene definita “la teoria del tutto” dovrà essere
trovata nell’ambito della scienza dei computer, nota anche come complessità computazionale. Certamente, non si tratta di una disciplina della fisica dove
esplorare i processi più fondamentali ma essa è legata a qualcosa di più
pratico e riguarda il numero di operazioni logiche che sono necessarie per
eseguire un algoritmo. Se questo approccio funzionerà, allora secondo Susskind esso
potrebbe risolvere uno dei problemi teorici più impegnativi di questi anni,
cioè il paradosso dell’informazione dei buchi neri, il che implicherebbe la non validità della meccanica quantistica e della relatività generale. In
più, il metodo della complessità computazionale potrebbe fornire ai teorici un nuovo modo di comprendere
i concetti di spazio e tempo utilizzando semplicemente delle idee basate
sostanzialmente sulla informazione.
Al di là dell'orizzonte degli eventi
Tutto
inizia circa 40 anni fa quando Stephen Hawking si rese conto che gli effetti
quantistici determinavano una specifica emissione di radiazione proveniente da un buco nero sottoforma di
fotoni e di altre particelle, nota come radiazione Hawking,
fino a causare la sua completa evaporazione. Una volta che gli altri
ricercatori vennero a conoscenza di questa scoperta, emerse una contraddizione
alquanto preoccupante. Infatti, secondo le regole della meccanica quantistica,
il flusso di particelle che costituiscono la radiazione uscente deve
conservare l’informazione di tutto quello che cade verso il buco nero, così
come la materia che sta precipitando trasporta esattamente la stessa
informazione man mano che attraversa l’orizzonte degli eventi, cioè quella
superficie ideale al di là della quale niente, nemmeno la luce, può tornare indietro.
Ma questo flusso a due direzioni potrebbe violare una legge chiave della
meccanica quantistica, nota come teorema di no-cloning quantistico, in base alla
quale non è possibile riprodurre una copia perfetta dell’informazione
quantistica sconosciuta a priori. Nel 1995, come fecero poi felicemente notare Susskind e colleghi,
la natura sembrava effettivamente eludere qualsiasi violazione a tale regola
rendendo così impossibile vedere entrambe le copie allo stesso tempo: un
osservatore che rimane al di fuori dell’orizzonte degli eventi non potrà mai comunicare con un altro osservatore che lo ha già attraversato. Ma nel 2012,
quattro fisici della Università della California a Santa Barbara, Ahmed Almheiri, Donald Marolf, Joseph Polchinski e James Sully, noti come gruppo AMPS,
introdussero una eccezione pericolosa a questa regola. Essi trovarono uno
scenario in cui un osservatore potrebbe decodificare l’informazione contenuta nella
radiazione, “saltando” per così dire nel buco nero e quindi confrontando quella informazione
con la sua copia mentre sta oltrepassando l’orizzonte degli eventi. Tuttavia,
il gruppo AMPS concluse che la natura previene questa sorta di abominio
attraverso la creazione di una sorta di “barriera di fuoco” che si
trova appena superato l’orizzonte degli eventi e che incenerisce qualsiasi
osservatore, o meglio qualsiasi particella, che tenta di attraversarlo. In
effetti, lo spazio dovrebbe terminare improvvisamente proprio nell’orizzonte
degli eventi, anche se la relatività generale afferma che in questa regione lo
spazio deve essere continuo e regolare. Dunque, se la teoria del gruppo AMPS è vera,
allora “ciò potrebbe essere un duro colpo
per la relatività generale”, così come ha affermato il fisico teorico Raphael Bousso.
L’informazione non può essere codificata
Da
quando sono emerse queste argomentazioni, la fisica fondamentale si è trovata
in un vero e proprio tumulto scientifico dato che gli scienziati hanno sempre
tentato di trovare una soluzione a questo paradosso. I primi ad introdurre il
concetto della complessità computazionale in questo campo dell’astrofisica furono
i fisici Patrick Hayden, che si occupa anche di scienza dei computer, e Daniel Harlow. Se davvero la “barriera di fuoco” dipende dall’abilità di un osservatore a
codificare l'informazione contenuta nella radiazione uscente, la domanda è: quanto è possibile che ciò
avvenga? La risposta è: estremamente difficile, se non impossibile. Una analisi
basata sulla complessità computazionale ha mostrato che il numero di operazioni
logiche richieste per codificare l’informazione uscente dal buco nero potrebbe
aumentare esponenzialmente con il numero di particelle che costituiscono la radiazione. Ora,
nessun computer sarebbe in grado di portare a termine questi enormi e complessi
calcoli fino a che il buco nero non abbia irradiato tutta la sua energia e sia
evaporato assieme alle copie dell’informazione stessa. Ciò implica che la “barriera di fuoco” non ha ragione di esistere: questo scenario in cui
l’informazione può essere codificata non ha quindi senso e perciò il paradosso
scompare. Inizialmente, Hayden fu alquanto scettico del risultato. Ma poi
assieme ad Harlow trovò la stessa risposta nel caso di vari tipi di buchi neri. “Sembra che sia un principio molto forte, una
specie di cospirazione della natura che non permette di realizzare questa
codifica dell’informazione prima che il buco nero non sia evaporato”, ha
affermato Hayden. L’ipotesi di Harlow-Hayden fece una grande impressione su
Scott Aaronson, che si occupa di calcoli quantistici complessi al MIT. “Ho rispetto per il lavoro fatto dai colleghi che rappresenta una
delle più importanti sintesi della fisica e della scienza dei computer”, ha
dichiarato. La eco di queste conclusioni giunse tra i fisici teorici anche se
nessuno rimase convinto. “Anche se i calcoli
sono corretti”, dice Polchinski, “è
difficile vedere come uno dovrebbe formulare una teoria fondamentale su questi
concetti”. Nonostante ciò, alcuni fisici ci stanno provando. C’è una
moderata convinzione tra gli scienziati sul fatto che le leggi della natura debbano
essere basate in qualche modo sull’informazione. E l’idea che le leggi della
natura possano essere descritte da metodi complessi di calcolo, che è definito
sostanzialmente in termini del concetto di informazione, offre una prospettiva
promettente. Tutto questo ha ispirato Susskind ad approfondire quale sia allora
il ruolo che può avere in tal senso la complessità computazionale e per far questo,
egli ha scelto un sistema di riferimento teorico noto come spazio anti-deSitter (AdS) che descrive qualsiasi cosa contenuta nel cosmo, inclusi i buchi neri, governata dalla gravità. A
differenza, però, del nostro Universo, lo spazio AdS ha un confine, cioè una regione dove
la gravità è assente e le particelle elementari e i campi di forze sono governati dalle
regole della meccanica quantistica. A parte questa differenza, studiare la
fisica nel sistema AdS ha fornito molti indizi poiché qualsiasi oggetto e
processo fisico che si trovano all’interno di questo spazio possono essere
matematicamente descritti con un oggetto o con un processo fisico equivalenti che si
trovano, invece, nel suo confine. Ad esempio, un buco nero nel sistema AdS è
equivalente ad un gas caldo di particelle quantistiche che sono distribuite sul
suo bordo. Ancora meglio, anche i calcoli che sono spesso complicati in un dominio
diventano invece più semplici se utilizziamo l’altro. E una volta che i calcoli sono stati
completati, questi risultati che sono stati ottenuti nel sistema AdS possono
essere per così dire “trasferiti” o “tradotti” nel nostro Universo.
La
complessità aumenta
Susskind decise allora
di guardare un buco nero da un'altra prospettiva, cioè dal punto centrale dello spazio AdS, e di
utilizzare la descrizione ottenuta sul confine dello spazio per esplorare ciò
che succede all’interno dell’orizzonte degli eventi. Altri colleghi hanno
fallito in questo tentativo mentre Susskind ha analizzato il problema
attraverso le lenti del calcolo numerico complesso. Passare dal confine dello
spazio AdS alle regioni più interne dell’orizzonte degli eventi richiede un
enorme numero di operazioni logiche che aumenta esponenzialmente man mano che
ci si avvicina verso il buco nero. Così come ha sottolineato Aaronson, “la regione più interna del buco nero è come
se fosse protetta da una specie di armatura di complessità numerica”. In
più, Susskind notò che questa complessità computazionale tende a crescere nel tempo
il che non implica un aumento del disordine o dell’entropia. In realtà, si
tratta di un puro effetto quantistico dovuto al modo con cui interagiscono le
particelle, che si trovano sul confine dello spazio, che causa un rapido
incremento della complessità relativa al loro stato quantistico. Secondo
Susskind, questo aumento di complessità suggerisce delle somiglianze con il
campo gravitazionale. Immaginiamo, ad esempio, un oggetto che fluttua nello
spazio attorno a un buco nero. Dato che siamo nel sistema AdS, l’oggetto può
essere descritto da una qualsiasi configurazione di particelle e campi sul bordo dello spazio. E poiché la complessità di quel confine dello spazio tende ad
aumentare nel tempo, l’effetto è quello di far muovere l’oggetto verso le
regioni più interne dove la complessità è maggiore. Ma questo è un altro modo
di dire che l’oggetto sarà attratto verso il buco nero. In altre parole,
Susskind afferma che “le cose cadono
perché esiste una tendenza verso la complessità”. Un’altra conseguenza di questo
aumento di complessità è strettamente legato ad un altro concetto che Susskind
introdusse assieme a Juan Maldacena, l’unico fisico a riconoscere le
caratteristiche uniche del sistema AdS. Secondo la relatività generale, due
buchi neri possono essere separati da decine o centinaia di anni-luce ma possono
ancora essere connessi da una sorta di tunnel spazio-temporale, noto come
wormhole o ponte di Einstein-Rosen. Ora, in base alle regole della meccanica quantistica, i due buchi
neri possono essere ulteriormente connessi attraverso un effetto di
entanglement quantistico, cioè l’informazione dei loro stati quantici è condivisa tra loro
in un modo che non dipende dalla distanza. Dopo aver esplorato le varie
similitudini tra queste connessioni, Susskind e Maldacena conclusero che esse
erano due aspetti di una unica cosa, cioè che il grado di accoppiamento di un
buco nero, un fenomeno puramente quantistico, determina la larghezza del
wormhole, una proprietà puramente geometrica. Con il suo ultimo lavoro,
Susskind dice che l’incremento della complessità che avviene sul confine dello
spazio AdS si manifesta come un aumento della lunghezza del wormhole. Dunque,
se mettiamo tutto insieme, pare che l’entanglement sia un fenomeno legato in
qualche modo allo spazio mentre invece la complessità sia legata al tempo.
Naturalmente, lo stesso Susskind afferma che se da un lato tali idee sono delle
speculazioni e non costituiscono una vera e propria teoria scientifica
dall’altro egli ed altri colleghi sono convinti che esse permettono di superare
il paradosso dell’informazione. “Non so
dove tutto questo porterà”, dice Susskind, “ma credo che queste relazioni tra complessità e geometria siano
solamente la punta dell’iceberg”.
Nature: Complexity on the horizon
AstronomicaMens: Il 'muro di fuoco', un nuovo paradosso sui buchi neri
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