sabato 14 febbraio 2015

Singolarità? No, grazie!

E' quanto emerge da due articoli che hanno come autore principale Ahmed Farag Ali, un fisico della Zewail City of Science and Technology e della Benha University, entrambi in Egitto. Essi stanno facendo il giro della rete grazie soprattutto alle sorprendenti ipotesi che gli autori introducono sull'argomento della singolarità gravitazionale, sia per ciò che riguarda l'origine dell'Universo (Big Bang), ma anche per quanto concerne gli oggetti astrofisici più enigmatici e misteriosi che esistono in natura (buchi neri).

La (non) singolarità del Big Bang

Andiamo per ordine. Grazie all'elaborazione di un nuovo modello che permette di applicare delle correzioni quantistiche alle equazioni della relatività generale, gli scienziati affermano, nel loro articolo, che l'Universo sarebbe esistito da sempre. Inoltre, questo modello potrebbe spiegare sia la materia scura che l'energia scura, risolvendo così diversi problemi cosmologici in una sola volta. Si ritiene che tutto ciò che ha dato origine all'Universo abbia occupato un singolo punto di densità infinita, noto come singolarità iniziale, e solo dopo l'Universo si è espanso “ufficialmente” con il Big Bang. Nonostante la singolarità del Big Bang emerga direttamente e inevitabilmente dalle equazioni matematiche della relatività generale, alcuni scienziati la considerano un grosso problema teorico poiché la matematica descrive solamente ciò che è accaduto immediatamente dopo, e non nella singolarità o prima della singolarità. Il Big Bang rappresenta, di fatto, il problema più serio della relatività generale poiché le leggi della fisica cessano di essere valide. Con la collaborazione di Saurya Das dell'University of Lethbridge in Alberta, Canada e co-autore dello studio assieme ad Ali, gli scienziati descrivono come la singolarità del Big Bang possa essere risolta assumendo che l'Universo non abbia avuto un inizio e nè avrà una fine. I fisici sottolineano che le loro correzioni quantistiche non sono applicate ad-hoc nel tentativo di eliminare in maniera particolare la singolarità del Big Bang. Il loro lavoro si basa su vecchie idee introdotte dal fisico teorico David Bohm, noto anche per il suo contributo alla filosofia della fisica. A partire dagli anni '50, Bohm esplorò la possibilità di sostituire le geodetiche classiche (cioè i percorsi più brevi tra due punti su una superficie curva) con le traiettorie quantistiche. Ali e Das hanno applicato questo concetto bohmiano ad una equazione formulata in quegli anni dal fisico indiano Amal Kumar Raychaudhuri della Presidency University in Kolkata, in India. Utilizzando l'equazione di Raychaudhuri, corretta per gli effetti quantistici, Ali e Das hanno derivato le equazioni di Friedmann quantistiche che descrivono l'espansione e l'evoluzione dell'Universo, incluso il Big Bang, nel contesto della relatività generale. Sebbene non si possa parlare di una vera e propria teoria quantistica della gravità, il modello contiene elementi sia della relatività generale che della meccanica quantistica. Infatti, gli autori sono convinti che i loro risultati saranno validi anche quando sarà formulata una teoria più completa della gravità quantistica.

Oltre a non predire la singolarità del Big Bang, il modello di Ali e Das non predice la singolarità del Big Crunch. Nella teoria della relatività generale, uno dei destini possibili dell'Universo è che lo spazio inizia a restringersi finché collassa su sé stesso e diventa nuovamente un punto a densità infinita. Gli autori spiegano che il loro modello elimina le singolarità grazie ad una differenza fondamentale tra le geodetiche classiche e le traiettorie bohmiane. Le geodetiche classiche alla fine si intersecano e i punti a cui esse convergono diventano singolari. Al contrario, le traiettorie bohmiane non si intersecano mai perciò le singolarità non emergono nelle equazioni. In termini cosmologici, le correzioni quantistiche possono essere pensate come equivalenti a due termini: uno rappresenta la costante cosmologica, senza che sia necessario richiedere l'esistenza dell'energia scura, e l'altro rappresenta la radiazione. Questi termini fanno sì che l'Universo abbia una dimensione finita e quindi un'età infinita. I termini permettono anche di fare delle previsioni che concordano molto bene con le attuali misure della costante cosmologica e della densità di materia-energia dell'Universo. In termini fisici, il modello descrive l'Universo come se fosse riempito da una sorta di “fluido quantistico”. Gli scienziati propongono che tale fluido possa essere costituito dai gravitoni, ipotetiche particelle senza massa che mediano l'interazione gravitazionale. Se essi esistono davvero, i gravitoni devono giocare un ruolo chiave nella teoria della gravità quantistica. In un altro lavoro, Das e Rajat Bhaduri della McMaster University, Canada, mostrano come i gravitoni possano formare un condensato di Bose-Einstein a temperature che sono state presenti nell'Universo a tutte le epoche.

Insomma, motivati dalle potenzialità del loro modello che permette di risolvere la singolarità del Big Bang e dei concetti di materia scura e dell'energia scura, i fisici stanno ora pensando di analizzare il modello in maniera più rigorosa tenendo conto anche di quelle piccole disomogeneità e perturbazioni anisotrope, nonostante essi ritengono che la presenza di minuscole perturbazioni non influenzeranno significativamente i loro risultati.


La (non) singolarità dei buchi neri

Una delle proprietà che caratterizza i buchi neri è il loro “punto di non ritorno”, cioè quella superficie ideale nota come orizzonte degli eventi. Quando un oggetto, sia esso una particella elementare o una stella, lo attraversa l'intensa attrazione gravitazionale del buco nero fara sì che l'oggetto non potrà più tornare indietro. Almeno, ciò è quanto accade secondo i modelli tradizionali che descrivono questi mostri del cielo in base alle regole della relatività generale. L'esistenza dell'orizzonte degli eventi è responsabile per la maggior parte dei fenomeni più strani che sono correlati con i buchi neri. In un altro articolo che ha ancora Ali come autore principale, gli scienziati dimostrano come secondo una nuova generalizzazione della teoria della gravità di Einstein, denominata “l'arcobaleno della gravità”, non sia possibile definire la posizione dell'orizzonte degli eventi con una precisione arbitraria. Se l'orizzonte degli eventi non può essere definito, allora lo stesso buco nero non può esistere. In altre parole, in questa nuova formulazione della relatività generale, lo spazio non esiste al di sotto di una certa lunghezza minima e, allo stesso modo, il tempo non esiste sotto un certo intervallo minimo. Ciò implica che gli oggetti che esistono nello spazio e in un determinato tempo non esisteranno al di sotto di una certa lunghezza ed intervallo di tempo fissati dalla scala di Planck. Dato che l'orizzonte degli eventi è una superficie ideale che esiste in una regione dello spazio e del tempo, lo stesso orizzonte degli eventi non potrà esistere al di sotto della scala di Planck. Quando si parla di oggetti in generale si intende tutto ciò che ci circonda, inclusi noi stessi. Ciò vuol dire che noi, in quanto esseri umani, non potremo mai esistere al livello della scala di Planck. Certamente, per noi, la nostra casa, la nostra macchina e così via, non ha importanza se non esistiamo in un dato punto dello spazio e del tempo, poichè siamo consapevoli del fatto che la nostra esistenza va al di là di questo limite. Tuttavia, non è così per l'orizzonte degli eventi ed è proprio questo che rappresenta la differenza principale nei calcoli dei ricercatori. L'arcobaleno della gravità emerge dai tentativi di formulare una teoria che combini sia la relatività generale che la meccanica quantistica. Per risolvere completamente tutti i problemi legati ai buchi neri, inclusi quelli che riguardano l'origine dell'Universo, i fisici hanno bisogno di formulare una teoria quantistica della gravità. Nonostante nessuno abbia ancora scoperto una tale teoria, esistono diverse candidate: dalle idee che considerano una natura discreta dello spazio e del tempo al livello più fondamentale all'esistenza di “loop” matematici come unità fondamentali dello spazio e del tempo, dall'esistenza di una stringa fondamentale, dalle cui vibrazioni emergono tutte le particelle note, a idee ancora più esotiche. Ciò che questi modelli hanno in comune è il fatto che l'energia di una particella non può essere grande a piacere, piuttosto esiste una sorta di limite massimo dell'energia che essa può assumere. Questa limitazione può essere facilmente combinata con la relatività speciale e il risultato che si ottiene è una teoria denominata “relatività doppiamente speciale” (DSR, Doubly Special Relativity). È possibile generalizzare la DSR in modo da includere in essa la gravità per arrivare alla teoria dell'arcobaleno della gravità. La relatività generale predice che la geometria dello spazio e del tempo curvi in presenza di materia e questo causa ciò che percepiamo, appunto, come forza di gravità. Invece, secondo la teoria dell'arcobaleno della gravità, questa curvatura dello spaziotempo dipende anche dall'energia dell'osservatore che la sta misurando. In tal modo, la gravità agisce in maniera differente sulle particelle che hanno energie diverse. Questa differenza è molto piccola per oggetti come la Terra mentre diventa importante nel caso dei buchi neri.

Il punto fondamentale di questo studio non è semplicemente quello di abolire una delle caratteristiche più importanti dei buchi neri, piuttosto quello di risolvere uno dei paradossi introdotti da Stephen Hawking negli anni '70: stiamo parlando del paradosso della perdita d'informazione dei buchi neri. A quell'epoca, lo scienziato inglese propose che i buchi neri emettessero una certa radiazione man mano che essi ruotano, implicando una perdita di massa ad un ritmo più elevato di quanto non la acquisiscono, e perciò essi sono destinati ad evaporare fino a scomparire definitivamente. In questo scenario, il paradosso è dovuto al fatto che la radiazione Hawking si origina dalla massa degli oggetti che cadono verso il buco nero ma (in teoria) la radiazione non trasporta l'informazione completa di questi oggetti una volta che viene emessa dal buco nero. Ci si aspetta che alla fine questa radiazione determini la completa evaporazione del buco nero. Così emerge una domanda: Dove va a finire l'informazione degli oggetti catturati dal buco nero? Sappiamo che nella vita di tutti i giorni, la distruzione di documenti è una prassi comune per eliminare ogni tipo di informazione in essi contenuta ma secondo la meccanica quantistica essa non può essere completamente distrutta. In linea di principio, lo stato iniziale di un sistema fisico può essere sempre determinato utilizzando l'informazione del suo stato fisico finale. Tuttavia, la radiazione Hawking non permette di determinare lo stato fisico iniziale di un oggetto. Per risolvere la questione, sono state introdotte diverse proposte, tra cui la possibilità che parte dell'informazione possa uscire lentamente nel corso del tempo, che l'informazione sia immagazzinata bene in profondità all'interno del buco nero oppure che la radiazione Hawking contenga in realtà tutta l'informazione. Una delle spiegazioni più promettenti è chiamata “complementarità del buco nero”, una soluzione al paradosso dell'informazione proposta da Leonard Susskind, Larus Thorlacius e Gerard 't Hooft. Essa si basa sull'idea che un osservatore che cade verso il buco nero e un osservatore che guarda a distanza vedano due cose completamente differenti. In altre parole, l'osservatore che sta precipitando verso il buco nero vede l'informazione (nella forma di se stesso) mentre passa attraverso l'orizzonte degli eventi, ma per un osservatore distante l'osservatore che sta precipitando verso il buco nero non raggiungerà mai l'orizzonte degli eventi a causa di un effetto previsto dalla relatività generale e noto come dilatazione gravitazionale del tempo. Dunque, l'osservatore esterno vede l'informazione riflessa dall'orizzonte degli eventi sotto forma di radiazione. Quindi, dato che i due osservatori non possono comunicare, non c'è alcun paradosso, anche se per alcuni questa soluzione può apparire ancora più strana dello stesso paradosso dell'informazione.

Applicando la soluzione di complementarità, gli autori mostrano che accade qualcosa di molto diverso quando non c'è alcun orizzonte degli eventi al di sotto di una certa lunghezza ed intervallo di tempo, così come viene suggerito dalla teoria dell'arcobaleno della gravità. Anzichè apparire infinito per l'osservatore distante il tempo che impiega l'altro osservatore mentre cade verso il buco nero, nella nuova teoria, questo tempo diventa finito. In altre parole, l'osservatore distante vede alla fine cadere l'osservatore verso il buco nero in un tempo finito. Partendo da questi presupposti introdotti dalla loro teoria, gli autori affermano che i misteri sui buchi neri emergono dal fatto che lo spazio e il tempo sono descritti ad una scala in cui essi non esistono. Se invece ci limitiamo su scale in cui lo spazio e il tempo esistono, allora i paradossi associati ai buchi neri sembrano essere risolti in maniera quasi naturale. Ad esempio, dato che il paradosso dell'informazione dipende dall'esistenza dell'orizzonte degli eventi, e poichè un orizzonte degli eventi come tutti gli oggetti non esiste sotto una certa lunghezza ed intervallo di tempo, allora non c'è alcun paradosso dell'informazione nella teoria dell'arcobaleno della gravità. L'assenza di un effettivo orizzonte degli eventi implica che non esiste nulla che possa bloccare l'informazione dall'emergere dal buco nero.

Oltre ad offrire una soluzione al paradosso dell'informazione dei buchi neri, i fisici spiegano come l'esistenza di una lunghezza minima a cui è associato un determinato intervallo di tempo minimo ci ricordano quanto importante sia lecito porsi delle domande da cui è possibile ottenere le giuste risposte. Gli scienziati spiegano la loro idea con l'analogia di un'asta metallica: ad esempio, ci si può domandare fino a che punto, applicando una forza, si può piegare l'asta senza spezzarla. Di fatto, quando si applica una forza così grande tale da spezzare l'asta, non ha più importanza parlare di quanto si può piegare l'asta. Allo stesso modo, nella teoria dell'arcobaleno della gravità, diventa poco importante parlare di spazio o di tempo al di sotto di un certo limite. La lezione più importante che si impara da questo studio è che lo spazio e il tempo esistono solamente al di sopra di un certo limite. Insomma, non esiste spazio o tempo sotto una certa scala. Dunque, diventa insensato definire particelle, materia o qualsiasi altro oggetto, tra cui i buchi neri, al di sotto di un certo limite di spazio e di tempo. Perciò, finché saremo confinati su scale in cui lo spazio e il tempo esistono, potremo ottenere risposte fisiche sensate. Ad ogni modo, quando tentiamo di rispondere a delle domande su fenomeni fisici che stanno al di sotto di una certa soglia dove non ha più senso parlare dello spazio e del tempo, allora finiamo per imbatterci in paradossi e problemi di varia natura.

arXiv (Buchi neri): Absence of an Effective Horizon for Black Holes in Gravity's Rainbow

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